Con il COVID-19 lo Smart working diventa “obbligatorio”: risvolti pratici e legali per le aziende.
A fronte della necessità di
contenere l'espansione del Coronavirus
il D.P.C.M. 11 marzo 2020 ha introdotto per le attività produttive e
professionali la “raccomandazione” ad attuare il “massimo utilizzo di modalità di lavoro agile per
le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a
distanza”.
Il lavoro agile, meglio
conosciuto come smart working, è una
realtà già da tempo esistente nel nostro paese e rientra tra le diverse
possibili modalità di esercizio del lavoro dipendente e non, ma, nonostante ciò,
è ancora poco diffuso.
Le ragioni? sono da ricercare
principalmente in due motivi:
1. l’esigenza di avere a
disposizione strumenti basilari di comunicazione e collaborazione digitale
(come app, tool di digital collaboration
e piattaforme di smart working), una
connessione internet veloce, un pc, e la
predisposizione organizzativa aziendale; si potrebbe pensare che siano elementi
comuni e sempre nella disponibilità di chiunque, data la realtà tecnologica
odierna che ci impone di essere sempre “connessi”, ma la realtà concreta è ben
diversa e troppo spesso le persone non hanno a disposizione neanche una
connessione internet a casa;
2. la difficoltà da parte
dell’azienda di poter predisporre un controllo sull’attività effettivamente svolta
dal proprio dipendente nel rispetto dei limiti imposti dagli artt. 2, 3 e 4
dello Statuto dei lavoratori in materia di controllo, anche a distanza, dell’attività
lavorativa attraverso dispositivi informatici e/o audiovisivi.
Perché
un'azienda dovrebbe incentivare il più possibile il lavoro agile?
In una situazione di normalità
(senza emergenza sanitaria) diremmo che lo smart working fa innalzare
l'asticella del fatturato aziendale in quanto il lavoratore gode di massima
flessibilità ed autonomia nel programmare le proprie giornate lavorative; tale
libertà influisce positivamente sullo stato di benessere e di soddisfazione
lavorativa del soggetto e ciò si traduce in una maggiore produttività e resa.
Oggi però, alla luce della
normativa di emergenza volta a limitare l’espandersi del virus, quella che
sembrava essere una semplice opzione rimessa ad una scelta, è diventata una
vera e propria necessità.
Ciò significa che il lavoro
agile è considerato a tutti gli effetti una misura di prevenzione
che le aziende sono tenute ad adottare al fine di limitare il contagio da Coronavirus
tra i lavoratori dipendenti.
Sebbene il ricorso a tale misura non sia un vero e proprio obbligo in senso stretto, la sua mancata adozione può comportare però serie conseguenze in capo al datore di lavoro.
Sebbene il ricorso a tale misura non sia un vero e proprio obbligo in senso stretto, la sua mancata adozione può comportare però serie conseguenze in capo al datore di lavoro.
Infatti, a prescindere dalla
circostanza che ad oggi non sia prevista una specifica sanzione in caso di
mancato ricorso al lavoro agile, il datore di lavoro risponde comunque nei
confronti dei propri dipendenti di un obbligo di massima tutela in ambito di
salute ai sensi dall'art. 2087 c.c. “L’imprenditore
è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare
l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”
L’azienda è quindi tenuta a garantire la salute psico-fisica dei propri
dipendenti con l’adozione di misure che vengono preventivamente imposte dalla
legge, dettate dalla comune prudenza o che in concreto si rendano necessarie a
seconda del caso specifico ed oggi sono le stesse misure di emergenza del Governo
ad indicare quali siano le suddette misure e tra queste è annoverato anche il
lavoro agile in tutti i casi ove sia possibile applicarlo.
In cosa incorre il datore di
lavoro che imprudentemente o volontariamente omette di adottare la misura del
lavoro agile?
Se i dipendenti contraggono il virus,
lo stesso può essere chiamato a rispondere di tale contagio e quindi a
giustificare la mancata adozione della suddetta misura.
In questo caso la giurisprudenza,
ormai risalente, attribuisce sia natura contrattuale che extracontrattuale alla
responsabilità del datore di lavoratore, ne consegue che il lavoratore
dipendente, che ne abbia titolo, potrà azionare entrambe le tutele.
Quali azioni può subire il
datore di lavoro che omette di adottare la misura dello smart working?
1. Si espone ad azioni di natura
civilistica volte ad ottenere una tutela risarcitoria per danno biologico e/o
morale;
2. E' passibile di azioni di
natura penale per i reati di lesioni personali colpose gravi o gravissime
(art.590 c.p.), fino alla possibilità dell’omicidio colposo nel caso più grave
di decesso del lavoratore (art. 589 c.p.).
dm Studio Legale consiglia:
L’azienda dovrà concordare con i
lavoratori le modalità di svolgimento del lavoro agile, impegnandosi a fornire
tutti gli strumenti necessari per agevolare il lavoro da casa.
Ridurre il più possibile,
attraverso il lavoro agile, la presenza del personale dipendente nei locali
aziendali, soprattutto nei casi in cui non si possa garantire le distanze
minime tra i lavoratori e non sia stata fornita la dotazione a questi ultimi
dei più elementari dispositivi di sicurezza (ad esempio mascherine, tute, gel
igienizzanti ecc.)
Se è necessario controllare a
distanza l’attività svolta dai propri dipendenti, renderli preventivamente
edotti delle modalità in cui verranno svolti tali controlli e del fatto che gli
strumenti messi a disposizione dall’azienda (come pc, mail e piattaforme
aziendali) non possono essere utilizzati per scopi personali.
Avv. Chiara Annecchini
Avv. Rocky Gabriel Mariano
Avv. Raffaelita Di Croce
Avv. Gianluca Genovesi
Avv. Viviana Marocco
Mail:
infodmstudiolegale@gmail.com
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